di Davide Simone
Tra i presunti “primati” attribuiti al Regno delle Due Sicilie ed ostentati dalla comunità filo-borbonica odierna, ne esiste uno, autentico, sul quale tuttavia non dovrà mancare una sosta analitica ed una panoramica approfondita: la costruzione della Napoli – Portici (1836), prima linea ferroviaria (di tecnologia anglo-francese) sorta in Italia.
Realizzata esclusivamente per consentire all’aristocrazia borbonica un accesso più agevole alla località vacanziera di Portici, il breve tratto ebbe scarsissima importanza dal punto di vista economico e commerciale (anche perché il Regno delle Due Sicilie era sprovvisto di un apparato industriale cui il tronco potesse fare da volano). Ma non solo: il “refrain” del Nord a dorso di mulo quando il Mezzogiorno poteva contare sulla tecnologia delle locomotive, risulterà scollegato dall’evidenza storica, giacché pochi mesi dopo vide la luce la Milano-Monza (18 agosto 1840) alla quale seguirono, sempre al Nord oppure al Centro, la Torino-Moncalieri (1848), la Roma-Frascati (1857) e la Torino-Genova (1857), ovvero la prima ferrovia costruita secondo criteri moderni nella storia italiana.
Tra il 1861 (Unità d’Italia) e il 1865, vennero inoltre fabbricati altri 2.000 chilometri di nuove linee, con un incremento ancor più consistente tra il 1865 ed il 1871. Fu durante questa forchetta temporale che la penisola venne unita, da Nord a Sud, dalla strada ferrata. Nacquero infatti la linea adriatica Bologna-Bari-Lecce, la Roma-Firenze, la Genova-Ventimiglia e la Genova-La Spezia. Particolare menzione andrà alla Torino-Modane, primo traforo scavato sotto le Alpi. La Sicilia avrà invece i suoi primi “cavalli d’acciaio” sempre dopo l’Unità, nel 1863. Nel 1876, il giovane Regno d’Italia poteva vantare ben 7780 chilometri di rete ferroviaria, utilizzata per gli scopi e le finalità più ampie e differenti, dal commercio, al turismo, alle esigenze strategico-militari.